di Martina Camellini

L’avvento di internet ha sconvolto non solo la vita della maggior parte degli individui, ma anche l’economia, la politica, la scienza e, in generale, tutte le sfumature del sapere. La possibilità di connettere persone, cose, o idee che si trovano in luoghi fisicamente diversi ha rivoluzionato il modo in cui vediamo e agiamo nel mondo. La rete delle reti permette di ampliare le capacità di tutti gli attori, dagli individui, alle aziende e agli Stati. È più che comune, ormai, ritenere che ogni persona abbia accesso a internet. Via smartphone, computer o tablet è impensabile immaginare che qualcuno non abbia a disposizione la quantità di conoscenza e opportunità che la rete offre. Eppure, secondo il “Digital Economy and Society Index”, a differenza di Francia e Germania, in cui la percentuale si aggira intorno al 5%, in Italia il 17% della popolazione non ha mai usato questa risorsa.

Si tratta di un numero troppo alto, che si aggira intorno ai 10 milioni, e che ha fatto finire l’Italia in fondo alla classifica del “Digital and Economy Society Index”[1] (DESI), l’indice che riassume l’andamento delle prestazioni digitali dei paesi Europei e traccia la loro evoluzione nella competitività digitale. Rispetto al 2019, l’Italia è retrocessa al 25esimo posto davanti solamente a Romania, Grecia e Bulgaria. L’indice, composto da più indicatori, sonda non solo l’uso dei servizi di internet da parte dei cittadini e la digitalizzazione dei servizi pubblici, ma anche l’integrazione e lo sviluppo delle tecnologie, la connettività e, infine, il capitale umano, in cui l’Italia arriva ultima secondo la classifica.

Il quadro dipinto dall’indice sulla digitalizzazione non è certamente roseo. Ciò che appare evidente è che in Italia non si sia ancora creata quella “cultura al digitale” presente nella maggior pare dei paesi europei. Solo il 58% della popolazione ha le competenze digitali di base per utilizzare consapevolmente questo strumento e per aver accesso ai numerosi servizi della pubblica amministrazione. Questo distacco che si è venuto a generare tra gli aventi accesso alla rete e coloro che ne sono esclusi viene definito “digital divide”. Il divario digitale si traduce nella mancanza degli strumenti cognitivi e materiali per poter interagire con gli altri attraverso la rete e può essere declinato in tre diverse dimensioni. La prima è quella cognitiva, associabile all’analfabetismo informatico e, cioè, a quella porzione della popolazione che non ha le conoscenze basilari per accedere o utilizzare internet. La seconda è quella sfera più strettamente legata all’adeguatezza delle infrastrutture di rete che spesso si rivelano obsolete e mal-tenute. Infine, l’ultima dimensione fa riferimento al cosiddetto divario cognitivo “indotto” e prende in considerazione la possibilità di introdurre nell’ordinamento disposizioni sanzionatorie che limitino l’accesso ad internet di determinate categorie di individui.

Secondo Roberta Pisa, “negare l’accesso alla rete significherebbe ledere diritti umani fondamentali, quali la libertà di espressione, il diritto all’informazione, all’istruzione, allo sviluppo e all’eguaglianza[2], perché, come ha dimostrato l’emergenza sanitaria legata al Covid-19, la sfera digitale è imprescindibile per la vita degli individui. La sfida posta dalla transizione alla digitalizzazione è impellente e richiede la consapevolizzazione di tutti gli attori chiave che agiscono sul territorio nazionale. Per arrivare a colmare quel divario così ampio che separa l’Italia dal resto dell’Europa e che divide la società in modo così perentorio, è necessario che l’accesso al più grande spazio pubblico mai creato sia garantito come diritto costituzionale. Conferire una dignità costituzionale a questo diritto non permetterebbe solo di porlo al di sopra della legislazione ordinaria, ma anche di renderlo effettivo.

Questa esigenza è stata manifestata per la prima volta già nel 2010 da Stefano Rodotà, che in modo visionario promuoveva l’inserimento del diritto di accesso ad internet all’interno della Costituzione come art. 21-bis. L’estensione del diritto di libertà di espressione espliciterebbe ciò che era già stato previsto dai padri costituenti: “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” compresa la rete. Questa proposta, benchè mai concretizzata, è stata la base della Carta dei Diritti di Internet del 2015, “strumento indispensabile per dare fondamento costituzionale a principi e diritti nella dimensione sovranazionale”[3], ma senza valore giuridico.

Nel 2018, una nuova proposta di legge pervenuta alla Camera da parte di D’Ippolito e Liuzzi ha riportato l’attenzione su questo tema. L’inserimento di un articolo 34-bis nella Costituzione permetterebbe di codificare il diritto di accesso a internet non solo come libertà civile, ma anche come diritto sociale[4]. Questa nuova accezione richiederebbe non solo la responsabilizzazione del legislatore in materia, ma anche un’azione positiva da parte dello Stato affinché gli individui possano godere completamente di tale diritto. Da un lato, quindi, questa formulazione permetterebbe di agire sul lato cognitivo del divario, potenziando l’alfabetizzazione digitale e consapevolizzando gli educatori. Dall’altro, invece, spingerebbe lo Stato ad intervenire su quello infrastrutturale grazie ad investimenti diretti per potenziare la rete.

Alla base dell’emendamento, si possono riscontrare tre principi cardine: l’uguaglianza del diritto d’accesso, la duplice natura di diritto sociale e diritto di estrinsecazione della personalità umana e, infine, la garanzia della neutralità della rete, in linea con il regolamento europeo in materia.[5] Questi nuovi valori non solo rispettano l’evolvere della società digitale, ma perseguono perfettamente gli obiettivi generali della Costituzione perché tracciano il percorso da seguire all’interno delle inevitabili trasformazioni indotte dalle nuove tecnologie per far sì che internet diventi davvero un ulteriore spazio per “il pieno sviluppo della persona umana”.

 

[1] Consultabile qui: https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/digital-economy-and-society-index-desi

[2] Pisa, R. “L’accesso ad Internet: un nuovo diritto fondamentale?”. Treccani. 2010

[3] Disponibile qui: https://www.camera.it/application/xmanager/projects/leg17/commissione_internet/TESTO_ITALIANO_DEFINITVO_2015.pdf

[4] Atto numero 1136 della Camera, si veda https://www.camera.it/leg18/126?tab=1&leg=18&idDocumento=1136&sede=&tipo=

[5] Regolamento (UE) 2015/2120 sulle misure riguardanti l’accesso a un’Internet aperta, che modifica la direttiva 2002/22/CE e il regolamento (UE) 531/2012, con il quale all’art. 1 “definisce norme comuni per garantire un trattamento equo e non discriminatorio del traffico nella fornitura di servizi di accesso ad Internet e tutelare i relativi diritti degli utenti finali”.